Il rinnovamento della medicina deve molto alla filosofia. In particolare all’etica: si è giunti alla creazione di un neologismo — e di una disciplina di successo — come la bioetica. Ma prima della bioetica c’erano le Medical Humanities. E le Medical Humanities ci saranno ancora in futuro, quando la bioetica avrà concluso la parabola ascendente che l’ha portata al centro del dibattito sociale e di interessi accademici. Ancor più: proprio dalle Humanities ci aspettiamo una correzione di rotta che ridia slancio all’incontro tra cultura umanistica e cultura scientifica, liberando la bioetica dalle strettoie dei dibattiti ideologici che la paralizzano, soprattutto in Italia. Rispetto al progetto della bioetica di delimitare i confini tra il lecito e l’illecito nell’ambito dei progressi della medicina e delle scienze biologiche, le Humanities coltivano un sogno di più ampio respiro: assicurare la felice sinergia tra le scienze naturali e le scienze umane, in vista di una medicina che sappia curare e prendersi cura, assicurare cure efficaci dal punto di vista biologico, ma anche rispettose di tutta la molteplicità dei bisogni umani.
Le Medical Humanities, inoltre, non si limitano a quanto la medicina può offrire per la guarigione, ma sono rilevanti rispetto a ogni forma di servizio alla salute: dalla psicoterapia al servizio sociale, dalla prevenzione alla medicina di comunità. Non si rivolgono, quindi, solo ai medici, ma a tutti gli operatori della salute (sarebbe più corretto parlare di Health Professionals Humanities, se l’eccesso di inglesismi non minacciasse un rigetto…!).
Evocare le Medical Humanities non basta: bisogna precisarne il significato. E questo si presenta già come un compito arduo. Sia “Humanitas” che le sue varianti presentano una famiglia di significati, dai contorni spesso fluidi. Chi in italiano fa ricorso a un termine straniero ha l’obbligo morale di addurre prove che lo stesso concetto non potrebbe essere espresso nella nostra lingua. L’espressione Medical Humanities non fa eccezione alla regola. La ragione determinante per preferirla è presto detta: non esiste in italiano un’espressione che ricopra lo stesso ambito semantico. Ogni tentativo di cercare un equivalente in italiano è destinato a creare equivoci — come l’infelice “umanizzazione” della medicina — oppure riflette solo un aspetto parziale di quella complessa realtà denotata come Medical Humanities 1.
È opportuno seguire le diverse piste fornite dalla famiglia di espressioni affini, consapevoli che ognuna, considerata nei suoi aspetti negativi e in quelli positivi, tratteggia solo un aspetto parziale del quadro, non l’ambito delle Medical Humanities nella sua interezza.