Cari soci e amici della Rete Euromediterranea,
in questo inizio d’anno pare difficile anche a me congedarci dal 2023 con il consueto ottimismo.
Le guerre già in corso negli anni passati, invece di concludersi, si sono moltiplicate. L’esercizio della forza e lo spirito di rivalsa sembrano ancora le uniche forme con cui la cosiddetta civiltà umana continua a manifestare la propria supremazia sul resto del mondo. La diplomazia è assente e gli accorati appelli alla pace che pur si levano in tante parti del mondo restano inascoltati. Nella striscia di Gaza il massacro dei civili impossibilitati a fuggire sta raggiungendo apici di crudeltà mai visti in precedenza; un numero impressionante di operatori sanitari, che si adoperano con incredibile coraggio e dedizione a prestare soccorso e aiuto ai feriti, è rimasto a sua volta vittima degli attacchi indiscriminati delle forze israeliane. Si profilano spaventose carestie in molte parti del mondo e le ineguaglianze all’interno dei popoli, compresi quelli tradizionalmente più ricchi, crescono in modo esponenziale.
Nel clima emergenziale che si respira, in Europa si succedono provvedimenti legislativi che, seppur mascherati da nobili propositi, in concreto riducono la libertà di espressione, ostacolano la libertà di movimento e in generale tendono a comprimere diritti fondamentali.
La drastica diminuzione dei sanitari nelle strutture di cura italiane, che adesso si ingigantisce anche per la fuga dai luoghi di lavoro e per la crescente disaffezione dei giovani a frequentare le facoltà di medicina e le scuole di specialità, è la copia esatta di quanto sta accadendo in Francia e in Inghilterra: se la pandemia ha messo in luce gravissime carenze assistenziali in molti paesi è ormai chiara la diffusa volontà politica di non porci alcun rimedio. Forse in funzione della prossima pervasiva digitalizzazione che prelude a una sostituzione integrale del personale sanitario con robot addestrati e governati da algoritmi? E’ altresì vero che una parte di popolazione, da tempo assai poco fiduciosa nelle capacità e nell’etica della classe medica, potrebbe vedere con favore questa nuova rivoluzione copernicana che si annuncia indenne dal rischio del tanto paventato “errore umano”. Chi da sempre nutre un rapporto fideistico con la tecnologia e il progresso, avrà pane per i suoi denti…anche prima di quanto non immagini. La frequenza con cui l’argomento è di recente presentato agli addetti ai lavori nei convegni scientifici fa supporre che sia necessario abituare il personale alla sostituzione poiché essa è imminente.
Nel fosco scenario planetario è dunque impossibile intravedere squarci luminosi e promettenti per ristabilire a breve pace e giustizia? la mia attuale percezione va proprio nella direzione opposta.
Mai come adesso infatti emerge la fondamentale necessità di restare umani, di sostenere l’umanità davanti al predominio delle macchine: problemi già affrontati nel corso della storia e riapparsi con inquietante concretezza nel secolo scorso. “Robot” è il termine usato nel testo teatrale R.U.R. di Robert Capek, un autore cecoslovacco dell’inizio del Novecento, per designare automi schiavi del lavoro manuale. La fortuna di questo termine ci accompagna in realtà da due secoli trovando le sue radici nel mito di Frankestein, creato dalla fantasia di Mary Shelley nel primo Ottocento come allucinante prodotto di una perversa genetica a partire dal cadavere. Ebbene, mentre l’I.A. avanza a passo di marcia, è quanto mai urgente risvegliare la creatività interiore, dare voce all’indicibile immateriale che ci anima e marcare la differenza ontologica e spirituale fra l’umanità e la macchina.
La nostra Rete, nata nel 2009 per sostenere e valorizzare tutti coloro che si occupavano allora in modo innovativo dell’umanizzazione delle cure, si trova oggi a un punto ancora più cruciale nella deriva culturale e psico-ideologica del tempo che stiamo attraversando.
Non possiamo che rallegrarci nel vedere il cammino fatto dalla nostra piccola associazione dal 2009, la quantità di iniziative che sono nate dal nostro primo gruppo pionieristico diffondendosi nel mondo a supporto di un’idea olistica e integrale di salute, dove individuo e comunità si fanno da specchio l’un l’altra.
Tuttavia, dopo un lungo percorso di sperimentazione di tanti diversi e complessi ambiti, siamo adesso in grado di passare dalla fase “descrittiva” di ciò che abbiamo definito in modo assai riduttivo “umanizzazione” alla comprensione delle costanti e dei determinanti profondi che rendono conto della natura intrinseca dell’umano e della sua tensione verso l’altro, e che fondano da un lato i rapporti sociali e dall’altro la connessione dell’umanità con la natura e l’universo.
Dispiegando approcci filosofici, poetici, scientifici, abbiamo finora esplorato la complessità in cui ci riconosciamo e che propugniamo: ma i terribili fatti di cui siamo testimoni ci dicono che siamo ancora incapaci di orientare i nostri intenti nella direzione della pace e dell’armonia.
Non si tratta solo delle guerre sanguinose, dei conflitti politici, ma anche – e forse soprattutto – delle violenze familiari, della dialettica della forza che si manifesta nelle nostre stesse case, e che sentiamo riemergere in noi ad ogni contrasto, per quanto futile e banale.
Su questo aspetto, contrariamente a quanto per lo più riteniamo, proprio lo sviluppo della cultura ha portato un suo contributo contraddittorio e forse addirittura negativo.
Non è forse per la contrapposizione delle idee, considerate come la più alta espressione dell’ingegno e della razionalità umana, che si giustificano e si perpetrano annosi conflitti?
Non sono le teorie, le ideologie, le religioni che induriscono e impediscono la capacità di entrare in relazione armonica con le varie parti di noi e con gli altri, e che giustificano la pretesa di prevalere sugli altri in nome di concetti e credenze, che non hanno di per sé alcuna fondatezza e ancor meno intrinseca legittimità?
In medicina, abbiamo la consolidata abitudine di parlare di lotta alla malattia, sovvertendo così ogni “ragionevole” esperienza di un organismo biologico che ci garantisce la vita senza che quasi ce ne accorgiamo. L’apparizione di uno squilibrio, che chiamiamo malattia, ci dovrebbe istruire a ritrovare l’originale equilibrio perduto o compromesso, e farci considerare la malattia un prezioso avvertimento. Invece abbiamo costruito – e lo crediamo reale – un sistema di pensiero che ci spinge a considerare “nemica” una presunta malattia e di conseguenza a scatenare la guerra contro noi stessi.
Questa concezione è una palpabile metafora di quanto succede nei nostri consueti comportamenti, individuali e collettivi. Sono le idee, le teorie, le credenze, che invece di aiutarci a comprendere la realtà, ci fanno schermo oscurandoci la verità e ci trascinano in uno stato di guerra permanente. Nessuna pace può esistere, dalla camera da letto al pianerottolo del condominio, dalle popolazioni in guerra ai progetti di sfruttamento intensivo della Terra, dalla conquista dei mari a quella dello spazio, se non ritroviamo il senso dell’unità interiore che si chiama Vita.
La Natura è la nostra maestra: dove noi facciamo il deserto, presto rinasce un seme che genera un incontenibile rigoglio. La Natura è la madre di ogni bellezza, che sappiamo istintivamente riconoscere proprio perché la portiamo impressa in noi come un congenito calco interiore. Allontanarci dalla Natura seguendo la voce di sirena della cultura, sotto qualsiasi paludamento essa si declini, ha reso invivibile il pianeta. La civiltà più evoluta continua solo ad impegnarsi a distruggere tutto quanto incontra sulla sua strada che ostacola progetti insensati ma ben motivati da sofisticate razionalizzazioni. La grande fisica del Novecento ha portato morte e distruzione ad un livello mai raggiunto prima. Se il più grande traguardo della Ragione è essere diventati capaci di condurre l’umanità alla sua estinzione schiacciando un bottone, abbiamo il dovere morale di dissociarci con fermezza da questa intollerabile deriva.
Ma per fortuna noi possiamo adesso fare molto di più. Le nostre artigianali esperienze, la nostra inesausta ricerca di anni, e la felice coincidenza di avere incrociato straordinari compagni di strada, intuitivi e creativi, ci mettono oggi in condizione di intravedere che cosa fondamentalmente sostiene la Vita e di riscoprire e affinare gli strumenti che possono diffondere anche a distanza l’élan vital, quello che fonda ogni possibilità di sopravvivenza per l’umanità intera.
Con l’aiuto, la presenza e l’expertise che ciascuno di voi nel tempo ha dispiegato potremo rendere questo progetto collettivo una realtà di fiducia e di speranza.
In vista delle grandi sfide che si aprono per il 2024, e nell’imminenza del rinnovo triennale delle cariche della Rete, ringrazio tutti voi per la ricchezza di contributi e la complessa attività di convegni, ricerca e formazione che avete realizzato sulle tematiche per noi più caratterizzanti: l’etica professionale, il continuo sviluppo delle attività artistiche a sostegno della salute, la sperimentazione e la promozione di nuovi approcci di cura, l’accompagnamento alla morte, la costruzione di comunità di cura partecipate, i rapporti con altre reti e associazioni promettenti di significativi partenariati. A breve vi faremo proposte di strumenti performanti per dare adeguata visibilità alle attività dei soci e alla loro remunerazione legale nell’ambito della Rete.
Nell’augurarvi un 2024 ricco di impegno e di realizzazioni concrete, conto su di voi per partecipare al progetto di ricerca sui determinanti dell’arte ad interagire con la biologia e la fisiologia del vivente. Potremo portare più pace nel mondo se riapprenderemo come fare pace dentro di noi: questo è il compito che ora possiamo e dobbiamo portare avanti con consapevolezza, fiducia e passione.
Rossana Becarelli
Presidente pro tempore
1 gennaio 2024
HUMANA MEDICINA – Associazione Culturale di Promozione Sociale senza fini di lucro
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