di Rossana Becarelli – 12 giugno 2021
È stupefacente che nel profluvio torrenziale di parole che ci ha travolto dal mese di marzo 2020, come un’emorragia incontenibile capace di scatenare incubi, angosce, frustrazioni rabbia, non sia mai stato rilevato che il testo fondativo della nostra unità nazionale, I Promessi Sposi, sia la lunga narrazione di un’altra non meno sinistra epidemia, la peste milanese del Seicento a Milano.
Perché duecento anni fa il Manzoni, scrittore simbolo del Risorgimento italico, dedica quasi la sua vita all’analisi minuziosa di un evento di altri duecento anni prima e lo innalza addirittura a saga nazional popolare del Regno d’Italia? Perché va a trovare i simboli generatori di una nuova nazione proprio nello sfacelo fisico e morale con cui rappresenta la peste nel governo spagnolo di Milano?
Forse non è senza ragione che tale rievocazione sia stata del tutto rimossa e occultata dalla narrazione pubblica evitando di portarla all’attenzione della gente.
Perché avremmo dovuto riconoscere, leggendo pagine di riflessioni acute e affascinanti, spesso dimenticate, che a distanza di quattrocento anni non è cambiato molto nei moventi che indirizzano le reazioni scomposte della gente e come pure le dissennate decisioni politiche di governanti imbelli e corrotti.
Intorno all’epidemia si organizza, ora come allora, un pensiero irrazionale e pervasivo: si legge la volontà oscura di sterminare il popolino; si costruisce nell’immaginario collettivo il personaggio dell’infame “untore”, malvagio e prezzolato che assoggettato ai voleri dei potenti diffonde materialmente il contagio; ribolle la canea popolare incontrollata e facinorosa che costruisce dal nulla i capri espiatori su cui fare giustizia sommaria per scaricare paure e sospetti.
Dall’altra parte, ancora echeggiano quelle “grida”, assordanti quanto inascoltate, emanate di continuo da un governo straniero esecrato e oppressivo che nulla sa fare per contenere le stragi del morbo, né per impedire l’assalto ai forni della folla immiserita e affamata, che né protegge né sfama ma attende fideisticamente dagli astri i segni premonitori che la peste finalmente cessi e che tutto torni sotto controllo.
Dopo quattrocento anni, progresso, civiltà, scienza e politica sono spazzati via da un miasma immaginifico surriscaldato dal sospetto del contagio, da un agente pericoloso, tanto più insidioso quanto invisibile e inafferrabile. Torna dal passato lo spettro del destino “rio e baro”, che reca morte e disperazione, che obbliga a subire lo stato d’assedio del germe mortale, che minaccia la nostra fragilità improvvisamente riesumata dalle certezze dell’opulenza occidentale.
Non v’è alcuna differenza fra chi teme soprattutto il contagio e attende dalla scienza, la religione attuale, un vaccino per la sua salvezza, con la stessa fiducia arcaica nella sorte preconizzata dai maghi, e chi paventa gli effetti devastanti di un vaccino che porterà la distruzione del genere umano o anche peggio la sua trasformazione in una nuova specie di mostri degenerati.
Tutti questi temi pervadono la storia antica, e anche quella più recente, e sono alla base di ingiuste e orribili persecuzioni di minoranze additate all’odio popolare, che siano le donne accusate di stregoneria, gli ebrei sacrificatori di Cristo, i renitenti al vaccino contro la Covid o gli assassini che ordiscono trame contro l’umanità.
Il terrore oscuro e arcaico che li muove è identico, e altrettanto identica appare la sospensione di ogni capacità razionale di valutare lucidamente le statistiche e l’andamento clinico di una malattia assai meno grave e diffusa del cancro, delle malattie autoimmuni o di quelle neurodegenerative.
Se da un lato, la tesi del complotto si vede confermata nella gestione insensata della pandemia, nell’alluvionale narrazione a senso unico, nelle favolose speculazioni di alcuni gruppi giganteschi a svantaggio dell’economia dal basso, d’altro lato qualunque analisi critica al mainstream viene bandita e screditata mostrando il timore, non meno paranoide, che uscire razionalmente dal delirio collettivo potrebbe essere più grave del delirio stesso.
La Storia e la letteratura mondiale ci insegnano che l’umanità si rigenera ed evolve attraverso i flagelli epidemici come attraverso grandi bagni catartici, occasione per alcuni di rinascere più adulti e più consapevoli.
Forse per questo il Manzoni elesse la peste a momento topico dell’epopea nazionale e indicò al nascente Paese una strada che ne tenesse debito conto.
Per il momento, pare che la lezione sia ancora lontana dall’essere compresa e superata.
Come succedeva nella mia lontana giovinezza, forse si potrà “riparare a settembre”, o alla peggio, una volta di più, si dovrà ripetere l’anno…. comunque nell’assoluta certezza che questa vita materiale è la scuola che serve alla nostra evoluzione spirituale e che, poco alla volta, ne usciremo fuori alla luce sfolgorante della Vita Eterna.
Rossana Becarelli, Medico, Antropologa, Filosofa della Scienza, già Direttore sanitario dell’ospedale San Giovanni Antica Sede di Torino e Presidente di Humana Medicina (Rete Euromediterranea per l’Umanizzazione della Medicina).