In questi giorni di surreale sospensione della vita frenetica a cui eravamo abituati, sono stata a lungo in ascolto delle voci che si sono accavallate, disegnando scenari controversi a cui molti hanno contributo in larga parte sotto l’onda delle emozioni: paura, allarme, sospetto, rabbia, aggressività, negazione, pessimismo, rassegnazione.
Ho riflettuto a lungo prima di prendere la parola, e comincio facendo ammenda per aver dichiarato solo qualche settimana fa – anche se sembra ormai passato un secolo- che questa influenza sarebbe stata una normale affezione stagionale non meritevole di alcuna particolare precauzione.
I fatti mi hanno smentito nel breve volgere di alcuni giorni e oggi non posso che condividere la determinazione che ha spinto i governatori delle tre regioni italiane più colpite a chiedere misure estreme per contenere il contagio.
Molto ci sarà da analizzare in seguito sulle cause e sulle circostanze della localizzazione della diffusione epidemica di questo virus che, alquanto inspiegabilmente, si è manifestato all’inizio soprattutto nelle tre regioni del Nord, le più ricche e le più avanzate dal punto di vista sanitario.
Purtroppo l’improvviso aumento dei pazienti in condizioni gravissime o in pericolo di vita
a causa della polmonite bilaterale ha rapidamente fatto collassare le strutture pubbliche che,
a partire dalla Lombardia, hanno mostrato peraltro un’eccezionale capacità di affrontare l’emergenza aumentando con ogni mezzo i posti letto di rianimazione disponibili e grazie anche all’enorme dedizione di tutto il personale sanitario. Altrettanto ci pone inquietanti interrogativi la letalità che va presentando l’epidemia italiana e che già si dimostra, nei numeri assoluti, assai peggiore di quella cinese.
Colgo questo momento speciale, e che auspichiamo breve, per esprimere alcune considerazioni.
La prima è che l’epidemia ha riportato alla ribalta l’importanza della sanità pubblica: la sua progressiva dismissione, con la conseguente riduzione di personale e di posti letto, non ha consentito di fronteggiare l’onda d’urto dei pazienti che richiedevano assistenza respiratoria avanzata.
Alla fine di questo periodo, si dovrà necessariamente riconsiderare il ruolo della sanità pubblica,
che ha garantito negli anni il diritto alla salute in modo universale e democratico e che ormai è ridotta a una pallida ombra della sua origine.
Appare altresì evidente che l’abnegazione e l’impegno del personale sanitario, che non si risparmia e non deflette malgrado l’elevatissimo rischio di contagio a cui è esposto, ha ridato considerazione e stima a chi si era ormai abituato ad essere bersaglio di pubblico vituperio e di continue aggressioni.
Tuttavia il Coronavirus ci sta insegnando molto altro. L’Occidente ha visto di colpo mettere in discussione la sua presunzione di onnipotenza e la certezza di saper controllare ogni fenomeno naturale. Stiamo confrontandoci con un’entità sconosciuta, rincorrendo le più variegate ipotesi del suo funzionamento, cercando affannosamente di mettere in comune sommarie conoscenze fra esperienze disparate: se eravamo convinti di possedere ogni sapere e ogni rimedio, la Natura ce ne ha tolto all’improvviso la sicurezza.
Soggiacere agli effetti di un minuscolo e mutevole organismo, che è bastato da solo a mettere in ginocchio i maggiori Stati del mondo, è tuttavia una salutare lezione che riposiziona il potere della medicina come pure le granitiche certezze della scienza. Siamo stati richiamati di colpo a misurare l’esiguità della nostra capacità di comprensione davanti alla vastità inesplorata della Vita.
L’umanità, proprio quella più ricca e potente, certa fino a ieri della sua supremazia e invulnerabilità, deve misurarsi con la sua fragilità. Questo virus ci ha dato la prova che la medicina non è onnisciente e infallibile: non abbiamo a disposizione farmaci per contrastarlo e la sua rapida mutazione rende inefficace qualsiasi vaccino verrà proposto per proteggere le popolazioni in modo durevole nel tempo. C’è piuttosto da prevedere che in futuro compariranno altri agenti patogeni, come questa volta in modo inaspettato e repentino, e non ci saranno farmaci efficaci all’apparire di ogni situazione sconosciuta.
La Terra intera, come organismo è ammalata, e la sua malattia è causata dalla nostra economia tossica, che vive dello sfruttamento rapace delle persone e delle risorse naturali. Pensavamo che il riscaldamento globale avrebbe fatto morire gli orsi in Siberia e sommerso le isolette tropicali, ma lasciando sempre noi fortunati al riparo da ogni inconveniente. Abbiamo dormito sonni tranquilli, sordi nella nostra indifferenza al grido di dolore che si leva dai territori tormentati dalla siccità, dalla fame e dalle monocolture estensive che impediscono la sopravvivenza alle popolazioni autoctone.
Al massimo accettiamo di vedere migranti sgomenti sbarcare sulle coste (ma anche meglio se non sbarcano affatto).
Adesso è la Terra che bussa al nostro uscio di casa e ci presenta il conto. Forse il conto è più salato di quanto ci aspettavamo. Questo è solo l’inizio che spalanca la porta sulle prospettive che non abbiamo voluto immaginare. Gli agi e la ricchezza in cui siamo immersi, che altri accumulano a prezzo della loro vita per il nostro vantaggio e le nostre futili necessità, sono per noi diventati diritti da difendere, anziché privilegi. Non ci siamo fatti domande sulle origini della nostra rendita di posizione, pretendendo solo che restasse imperitura e inattaccabile.
Il Covid19 è l’epifenomeno della crisi a cui è giunto il modello di sviluppo della nostra civiltà.
Abbiamo troppo a lungo trascurato l’interconnessione fra i sistemi biologici umani e quelli ambientali: il fenomeno dello spillover (salto di specie) che potrebbe essere all’origine della diffusione del virus è causato dai cambiamenti climatici in atto che mutano gli ecosistemi preesistenti e predispongono al transito fra specie diverse di agenti patogeni in precedenza confinati e adattati ad altri ospiti. Continuando col processo di deforestazione, con l’inquinamento della terra, delle acque e dell’aria, aumentando la produzione di merci e beni, per lo più inessenziali, si è costruito un sistema economico basato sulla crescita sfrenata che sta compromettendo la sopravvivenza della specie umana.
Ci siamo insensibilmente abituati a credere che la crescita economica sia il principale obiettivo delle società e degli individui e anche in questo momento c’è chi considera lo shock finanziario dei mercati come l’aspetto principale, se non addirittura l’unico, di cui bisogna occuparsi.
Può suonare paradossale, ma personalmente considero questa pausa che ci è stata imposta come un’opportunità straordinaria che non dobbiamo sperperare. E’ un urto violento ma salutare che viene a scuotere la nostra torpida coscienza di padroni indiscussi della terra. Se non la coglieremo al volo, altri messaggeri arriveranno recando annunci meno benevoli di una semplice fermata in casa.
Per fortuna, vedo emergere spontaneamente solidarietà, incredibile creatività, coinvolgimento attivo di tanti nel rendere vivo e vitale questo isolamento che ci rende partecipi dell’epica impresa di contenere il contagio. Teatri, musei, biblioteche, stanno rendendo disponibili in modo virtuale spettacoli, visite e libri. Si moltiplicano i flahmob nazionali per manifestare gratitudine e sostegno a distanza al personale degli ospedali: dai balconi ci si saluta, si applaude, si improvvisano concerti, si rappresentano piccoli spettacoli. Un collega scrive dell’emozione che ha provato incontrando la profondità dello sguardo di un paziente al di sopra della mascherina regolamentare.
E’ un peccato che l’umanità abbia bisogno di circostanza di emergenza per risvegliarsi dal sopore del comfort a cui è assuefatta e ritornare capace di apprezzare le più piccole cose a cui aveva smesso di dare importanza.
Come un digiuno è più salutare di un’indigestione, questo arresto ci dà la misura della bulimia di cui eravamo preda. Ci restituisce il desiderio delle cose che abbiamo dato troppo per scontate: la stretta di mano, il bacio, l’abbraccio, una passeggiata, il viaggio, il cielo sconfinato.
Stiamo vivendo uno stato straordinario di sospensione della frenesia del fare, che ci aveva letteralmente drogati, nella psiche e nel fisico, di adrenalina e cortisolo.
Esso ci permette di scendere nell’incommensurabile immensità dell’essere.
E’ su noi stessi che dobbiamo contare, rafforzando le nostre difese interiori e riscoprendo che l’equilibrio naturale è il più potente strumento che abbiamo per mantenerci in buona salute.
Per questo occorre però cambiare prospettiva: imparando a fidarci di più di noi stessi e delle straordinarie capacità di reazione del nostro corpo e mantenendo il suo naturale stato di benessere.
Stare a casa tutela la nostra salute ma che è anche un atto di effettiva solidarietà verso gli altri che ci viene chiesto di proteggere. Un atto semplice ed elementare che riassume quanto andiamo ripetendo da tanto: il nostro benessere è condizione del benessere altrui e viceversa Noi dobbiamo rispetto al corpo in cui trascorriamo la nostra vita mortale e così facendo portiamo rispetto alla comunità di cui siamo parte. Non siamo parti disgiunte e scollegate: anche se chiusi nelle nostre case siamo sempre insieme a tutte le cellule, i batteri e i virus che ci abitano e costituiamo la rete infinita che collega tutti, terra, cielo, animali, umanità. Ogni punto che la compone vibra e pulsa all’unisono con tutti gli altri, imprime segnali inapparenti e per lo più inconsapevoli.
Oggi siamo stati portati a focalizzare maggiormente la nostra attenzione, restando in un’assorta e relativa immobilità. Suggerisco di fare pulizia nella mente, per purificare i nostri pensieri e accordarci con voce limpida al coro impercettibile che fa risuonare l’eterna armonia dell’universo.
E’ un raro momento di luce e di silenzio, da accogliere con gratitudine.
Adesso abbiamo il tempo di stare un po’ in compagnia di noi stessi, una compagnia che spesso abbiamo evitato e di cui invece dovremmo godere. Approfittiamone come di una convalescenza che ci viene concessa senza aver dovuto passare attraverso la malattia…
Auspico che questo isolamento forzato non passi invano. Se sapremo imparare questa lezione esemplare, usciremo all’aria aperta della prossima primavera arricchiti dei soli valori che contano (e che non sono quotati in Borsa).
Questa eccezionale esperienza cui ci ha costretti il Coronavirus può darci il coraggio e la forza di fermare la corsa insensata che ci conduceva inevitabilmente allo sfacelo ambientale e forse addirittura alla scomparsa della specie umana.