PistolettoPistoletto a Viareggio è cittadino universale «L’arte deve superare l’individualismo»

di Adolfo Lippi  –  IL TIRRENO – 15 luglio 2018

Il maestro piemontese spiega la sua poetica del “terzo paradiso” che porti beatitudine e fratellanza sulla terra

«L’arte deve superare forme di individualismo, dev’essere utile, ci deve essere una dinamica di partecipazione alla società che va trasformata», così Michelangelo Pistoletto in un’intervista che ci concede a Viareggio nell’ambito di uno straordinario evento intitolato “Festa della cittadinanza universale”. L’evento si è svolto tra la galleria d’arte moderna e contemporanea, la piazza intitolata a Shelley e il palazzo che fu di Paolina Bonaparte prima indimenticata bagnante sulla riviera.

Pistoletto è artista di fama mondiale. Sue opere sono esposte al Moma di New York, al Louvre di Parigi, a Berlino. Ha di recente fondato a Biella, sua città natale, una città dell’arte già visitata da quattro milioni di persone. A Viareggio Pistoletto è venuto assieme alla moglie Maria Pioppi per ritirare il “passaporto” di cittadino del mondo, passaporto che gli è stato conferito durante una cerimonia affollatissima nell’evento multidisciplinare ideato da due registi geniali, Alessandro Garzella e Satyamo Hernandez, con la collaborazione del vocesindaco Walter Alberici e di Alessandra Belluomini Pucci direttrice della GAMC.

Dice Pistoletto: «Quest’evento mi ha particolarmente attratto perché vi è un’idea che collega arte ed umanità». Infatti per l’intera giornata si sono succeduti nei giardini di villa Paolina spettacoli teatrali, videoinstallazioni, balletti etnici, musiche urbane e percussioni africane. Il senso della performance, diretta e condotta da Garzella ed Hernandez è lo abbattimento delle brutali barriere che le nazioni, ovunque, stanno costruendo per evitare le immigrazioni, barriere che nel profondo, intendono vantare supremazie razziali, politiche, religiose. E che si identificano nel proclamato sovranismo che sta invadendo Europa ed America. La performance si inizia con la scansione di una serie di frasi attribuibili a Mussolini e si conclude con la lettura, suggestiva, dell’Infinito di Leopardi.

L’evento presentato dal critico Andrea Porcheddu ha visto la partecipazione del gruppo Anti–Hero, delle percussioni a cura di Jean Luis Degrè Awane, le danze della compagnia di Franck Alain Nahil, mentre Indiana De Benedetto e Swan Hernandez hanno firmato le videoinstallazioni. Il pubblico per alcune ore ha cantato e danzato coi ritmi di diverse culture, una mescolanza che, ad intenzione degli organizzatori, ci deve far sentire apolidi, cittadini dell’intero universo.

Riprendo con Pistoletto un commento alla situazione attuale dell’arte – quando sembra finita la vibrante stagione dell’impegno, istigato negli artisti, negli intellettuali, soprattutto da Jean Paul Sartre – e fa una puntuale lezione sulla propria opera. Pistoletto cominciò con gli specchi. «In essi – dice – ritraendomi, capii che la realtà si moltiplica, si può dividere, si può raddoppiare. E così scoprii che anche in fisica 1+1 non fa 2 ma fa tre. Prendiamo un atomo di ossigeno un atomo di idrogeno ed ecco l’acqua. Uniamo un uomo e una donna e avremo un bambino, cioè una terza persona. L’arte deve allora contribuire a superare l’individuo egoista, e così ideai il logo del terzo paradiso da affiancare ai paradisi della natura e della tecnica, un paradiso in terra della beatitudine e della fratellanza. E questa non è utopia. È fare, occorre fare, realizzare questa società giusta, democratica, civile, per tutti, un nuovo equilibrio».

Pistoletto realizzò con piastre di acciaio riflettenti specchi dove il pubblico non solo è chiamato ad osservare ma penetra e si frange nella realtà, vi partecipa. Eppoi dopo venne la sua adesione alla corrente dell’ “arte povera” alla quale contribuì con la famosa “Venere tra gli stracci”, una statua di bellezza classica davanti al degrado del consumismo. Ciò valse all’artista una fama mondiale e Venezia gli tributò un ambito premio alla carriera.

«Adesso – dice – da quattro anni lavoro a Cuba. È una società straordinaria, sospesa. Vi si confrontano comunismo e capitalismo ed ancora non si sa quale via intraprendere. Forse una strada originale. I cubani hanno subito tre imperialismi, quello spagnolo, quello yenkee, quello russo. Ne sono usciti con allegria e nonostante i mille problemi sono gente generosa, di freschezza encomiabile. Ho anche incontrato Raul Castro. Dopo Viareggio torno là dove ci dedichiamo ad un’opera di educazione culturale».